Conosco bene Barcellona perché per ragioni lavorative ogni anno ci siamo andati in occasione di una fiera e poi di un evento, che vedeva convergere in città gente del settore informatico da tutto il mondo, ovviamente tutto questo in era pre-covid.
Ho visto perciò in questa città anno dopo anno, i cambiamenti, come si è evoluta e anche qualche involuzione.
È il destino di tutti i paesi del mondo, solo che chi viaggia di solito cristallizza il paese nel momento della visita e, anche se si tiene aggiornato, l’immagine che si porta dentro è quella immobile di quando l’ha visto.
Barcellona è una di quelle città, di cui ho conosciuto il divenire e quindi oltre ad apprezzarne le meraviglie architettoniche, pittoriche e in genere artistiche, ne ho assaporato la vita pulsante anno dopo anno nel suo scorrere.
Ad esempio anno dopo anno è diventata sempre più efficiente ed organizzata. Basta dire che atterrando in occasione del nostro evento informatico, all’aeroporto trovavi un’area di accoglienza dove, presso sportelli con un sistema meccanizzato rapido e preciso, il personale del comune o dell’ente fiera ti forniva il pass d’ingresso alla fiera ed il pass per i trasporti, che includeva per tutto il periodo fieristico l’acesso a metropolitana, treno e trasporti in città.



In città e sotto il metrò poi centinaia di ragazzi erano a disposizione con i loro giubbotti gialli di riconoscimento per dare informazioni e indicazioni così da semplificare l’accesso alla fiera o il ritorno in centro. I taxi non mancavano mai e la gente era sempre molto disponibile e anche sorridente, malgrado un afflusso così massiccio di persone qualche disagio ai residenti non poteva non crearlo.
Ho partecipato a tantissime fiere ed eventi in giro per il mondo ma, devo dire, nessuno così ben strutturato per fornire accoglienza e facilitare la vita agli stranieri, che in centinaia di migliaia invadevano la città per qualche giorno, con uno sforzo organizzativo di tutto rispetto.
Barcellona è una città a sè nel panorama spagnolo, non solo perché come capitale della regione catalana ha vissuto tutte le vicende complesse del rapporto con il resto della Spagna e in particolare con Madrid, ma anche perché è diventata il cuore economico spagnolo così come Madrid è il cuore governativo e istituzionale. Insomma un po’ come Milano e Roma e, forse perché sono milanese è una città in cui mi ritrovo, con cui mi sento in sintonia e con cui simpatizzo sempre. Mio marito ama Madrid, io decisamente Barcellona.
Architettonicamente parlando di solito si pensa a Barcellona come la città di Gaudì ovvero del modernismo.
Questo movimento artistico, sia pure con nomi diversi, è stato presente in tutta Europa alla fine del XIX secolo. A seconda delle nazioni ha preso il nome di Art Nouveau, Liberty, Jugendstil e appunto Modernismo in Catalogna.




Sicuramente questa corrente artistica, la cui massima espressione è stata architettonica ha cambiato il volto di Barcellona, stabilendo un prima e un dopo.
Di solito si pensa solo a Gaudì, ma in realtà ci furono altri esponenti che hanno lasciato la loro impronta in città anche se nessuno come Gaudì. Penso ad esempio a Lluís Domènech i Montaner, Josep Puig i Cadafalch.
So che non è “politicamente corretto” quanto sto per dire, ma io non sono una fanatica del modernismo e pur riconoscendo il contributo che questo periodo ha dato alla trasformazione di Barcellona, riempiendola di una tavolozza di colori, di linee curve e sinuose (la linea curva è la linea di Dio, diceva Gaudí) utilizzando nell’architettura, sicuramente nuova e originale, tutte le arti applicate : dalla scultura alla pittura, dalla ceramica al vetro e al ferro battuto, non mi sono innamorata, anzi oserei dire che mi ha lasciato fredda la Sagrada Familia, molto osannata. Ho invece apprezzato “casa Batlò” e in un certo senso anche la “Pedrera”. Ma anche a queste due case iconiche ho attribuito una ammirazione contenuta.




Sicuramente la facciata di Casa Batlò sul Passeig de Gracia è uno spettacolo di giorno e ancora di più di notte, mentre di Casa Milà (conosciuta come Pedrera) quello che mi colpisce sempre è il terrazzo pieno di pinnacoli. Enrambe le volte che ci sono stata, a distanza di anni, era una luminosa giornata di sole e quindi l’ho vista nel suo abito migliore.






Non si può non menzionare il modernismo parlando di questa città, ma per la verità tante altre sono le cose che mi hanno legato a Barcellona, a incominciare dal pre-modernismo.
Un giorno in cui, ricordo, le sessioni e conferenze lavorative non mi riguardavano, uscii dalla fiera, presi la metropolitana e mi inoltrai nel bario Gotico.




Sarà che mi sentivo come quando si bigiava la scuola, quindi particolarmente divertita da questo tempo rubato, sarà che un luogo nuovo non può non suscitare curiosità e interesse, sarà che la parte antica (romana, medievale, gotica) della città va molto incontro al mio sentire, sarà che la mattinata era piena di sole e la gente poca, tutta occupata nelle attività settimanali, inclusi gli stranieri che, trovandosi lì per lavoro non potevano fare i turisti, insomma mi persi per i vicoli, la cattedrale e i tanti scorci che mi si presentavano.



Macchina fotografica al collo, cominciai a camminare entrando dal Pont del Bisbe, con il famosissimo e fotografatissimo ponte del vescovo.

Vagabondai per vicoli stretti, per improvvise piazzette, arrivando all’imponente cattedrale gotica, una meraviglia assunta a simbolo della città, ma mi distrassi anche ad osservare gli spaccati di vita cittadina, un bar solitario con due botti all’ingresso, un anziano signore che avanzava in un vicolo, un ammasso di moto, incongrue in uno spiazzo circondato da mura antiche e con due palme svettanti, una libreria o un negozio di antiquario, insomma la vita spicciola, che si svolgeva all’ombra di mura e palazzi millenari, mentre la mia mente vagava al seguito del mio sguardo e in compagnia di storie e racconti letti (la Cattedrale del Mare di Ildefonso Falcones, l’ombra del vento di Carlos Luis Zafron, per citare solo i più famosi) ma anche lasciandomi guidare dalle mie personali impressioni.







Senza accorgermene piano piano, passo dopo passo, sosta dopo sosta, uscii dal barrio Gotico e mi ritrovai davanti all’Arco di trionfo all’ingresso del Parco de la Ciutadella un altro punto di riferimento della città.

L’arco, imponente con la sua altezza di 30 metri, è in mattoni a vista e risale alla Esposizione Universale del 1888 di cui era la porta di ingresso. Si erige in un ampio spazio verde ed ha una particolarità, perché al contrario di tutti gli altri archi di trionfo eretti, non celebra vittorie militari, ma il progresso artistico, scientifico ed economico.
Lo stile dell’arco, restaurato nel 1989 è quello dell’architettura mudejar, ovvero quella della dominazione araba della Spagna, con l’utilizzo di maiolica, oltre che dei mattoni a vista, a cui ho accennato prima, con fregi e sculture che non sono in marmo, come sembra ad un primo sguardo, ma in pietra artificiale.
Era circa l’ora di pranzo e così dopo una mattinata densa di storia, antichi edifici e stretti vicoli raccolsi con piacere l’invito che il parco offriva di due passi e una sosta in mezzo a un po’ di natura.
il Parco de la Ciutadella è il polmone verde di Barcellona, ma è anche un punto di incontro dove si danno appuntamento artisti di strada, musicisti e famiglie.






Il parco fu realizzato sempre per l’expo del 1888 sui terreni della cittadella militare di Filippo V e al suo interno vi si nascondono opere di carattere artistico e storico, tra cui il modernista castello dei tre dragoni di Luís Domènech i Montaner, destinato a essere il ristorante dell’Expo, la Fontana della cascata alla cui costruzione partecipò un giovanissimo Antoni Gaudì, l’ombracolo, un edificio a pilastri in ghisa, travi curve in ferro e tre soffitti di cinque arcate, destinato a proteggere le piante e a permettere la crescita di specie tropicali e sub tropicali. Il microclima adatto si ottenne grazie a un gioco di luci e ombre che ricrea le condizioni delle foreste dove queste specie sono autoctone.

La mia passeggiata e una sosta su una panchina per godermi il sole e qualche momento di riposo era accompagnata da una miriade di pappagallini verdi, che sfrecciavano da un albero all’altro o si abbeveravano a qualche pozzanghera, dove mi fermai e inginocchiai per cogliere il momento in cui si riflettevano nella pozza.
Ritornai sui miei passi e per quel giorno il tempo era esaurito.
La sera dopo, rispettati i miei impegni lavorativi, andai a riconciliarmi con Picasso. Il museo Picasso (nel quartiere Ribera) è forse il più famoso museo di Barcellona. Contiene una delle più vaste collezioni dell’artista: 4249 opere per la maggior parte appartenenti all’epoca della sua gioventù, che trascorse in questa città, arrivandoci nel 1894 a seguito del trasferimento del padre, che insegnava arte e qui aveva ottenuto un incarico.

Già la collocazione merita una visita: cinque palazzi medievali collegati fra loro, che fanno da sfondo a molti capolavori di questo pittore così prolifico, così poliedrico e dalla personalità così tumultuosa.
Ho parlato di riconciliazione con Picasso, perché fino a quella visita, fortemente voluta da mio marito che ama molto questo pittore, io ero più fredda nei suoi riguardi. Intendiamoci sono sempre stata conscia del suo genio, ma in qualche modo l’antipatia personale per l’uomo e la frammentarietà delle opere che avevo visto e studiato, non mi avevano permesso di mettermi in sintonia con la sua arte.
Questa visita con una panoramica così completa della sua produzione artistica (ci sono opere incredibili fatte all’età di sette anni), mi costrinsero a inchinarmi al suo magistrale talento e a dimenticare tutto per immergermi nel suo percorso pittorico. Devo ammettere che compresi anche un po’ meglio il personaggio umano anche se molti aspetti del suo carattere e del suo rapporto con la società continuano ad essermi ostici.
Un altro luogo che mi ha catturato di Barcellona, sempre appartenente al lato gotico della città è il Monastero di Pedralbes. Si trova nella parte alta della città e merita di trascorrerci del tempo.






Il monastero fu eretto nel 1326 come sede per l’ordine delle monache clarisse. La regina Elisenda diede la sua protezione al luogo e vi ci si ritirò quando rimase vedova, inserendo nel suo testamento una clausola con cui ordinava di distruggere il monastero alla sua morte. Per fortuna non fu così e nei secoli il convento continuò a costituire un rifugio per le monache. Fu chiuso, durante il periodo della confisca, per tre anni, ma non fu vandalizzato nè derubato. Dal 1931 è diventato un monumento storico aperto alla visita del pubblico, anche se un manipolo di clarisse vi abita ancora.
Veniamo a come appare oggi al visitatore. Come detto è in stile gotico caratterizzato da archi e colonne e al centro si trova il chiosco.
La tomba della regina si può vedere sia dal chiostro che dalla chiesa.
La mattina che ci andai fui subito intrigata da una stradina di accesso lastricata, che ti proiettava immediatamente nei secoli passati, silenziosa e fiancheggiata dagli edifici del monastero.
Entrando poi il chiostro si presentava pieno di verde con alberi di aranci e altri di alto fusto secolari, con una bella fontana all’interno.
Il chiostro è a più piani con colonnati e sulle pareti affreschi con scene religiose e maioliche.
Nel monastero, più precisamente nel dormitorio, si trova anche una interessante collezione di oggetti antichi e religiosi raccolti dalle monache. La chiesa poi piuttosto scarna contiene magnifiche vetrate che risaltano nell’ambiente così poco decorato. Ci aggirammo in questo luogo di silenzio ammirando i portici, la vista dall’alto sul chiostro e respirando la serenità del giardino e della chiesa, non turbata dal rumore della città e allietata solo dal canto degli uccelli nascosti tra le piante.
Uscendo da tanta pace vorrei ricordare ancora che Barcellona non è solo monumenti, arte e storia. La città è vivace, brillante di giorno, con tanti giovani, luoghi di ritrovo, ristoranti, bar, negozi ma lo è ancora di più di sera e di notte.


La Rambla, il Passeig de Gracia, il porto sono i luoghi dove ho trovato ristoranti che meritano un elogio e inoltre l’illuminazione notturna valorizza quei palazzi e quelle piazze e vie, che si ammirano di giorno.

Due luoghi meritano in particolare, a mio parere, di essere raccontati. Il primo è l’Oria il ristorante del’Hotel Monument nel Passeig de Gracia e vicino a Casa Batlò.


Ci andammo la prima volta sull’onda delle recensioni e anche del fatto che la sua peculiarità consisteva nel doverti affidare alla fantasia dello chef. In pratica ti veniva chiesto se avevi qualche intolleranza o qualcosa non ti piaceva e quanto volevi spendere tra le cifre alternative che ti proponevano. A quel punto lo chef preparava un menù con una serie numerosa di portate raffinate ed eccellenti, che andavano dagli antipasti al dolce. Ogni portata era una sorpresa, illustrata con dovizia di particolari solo quando ti veniva servita, il che aggiungeva curiosità e vivacità alla cena. Un vero e proprio viaggio culinario in un ambiente modernissimo ed elegantissimo, con, come padrona di casa, una maitre donna, cubana, elegante, direi anche una bellissima donna, squisitamente gentile e con cui, nemmeno a dirlo, chiacchierammo a lungo, se non ricordo male aveva un fidanzato italiano e quindi ci parlò di Roma e della sua conoscenza dell’Italia. Ma ci raccontò anche, quando ci complimentammo per la serata e l’ottimo servizio oltre che per il cibo di così alto livello, che erano in attesa di sapere se avrebbero avuto una stella Michelin. Ci disse che erano in lizza ed erano molto nervosi nell’attesa. Avrebbero avuto il risultato una ventina di giorni dopo quella sera. Le dissi che avremmo incrociato le dita per loro, ma ero convinta che l’avrebbero ottenuta perché se la meritavano tutta. La nostra serata era stata perfetta, senza nemmeno un piccolo intoppo e non credo fosse un caso. Ci lasciammo come vecchi amici. Tenemmo d’occhio nei giorni successivi l’assegnazione delle stelle e puntualmente la ottennero. L’anno dopo ci tornammo e il ristorante stellato era rimasto all’altezza delle nostre aspettative.
Il secondo luogo particolare e totalmente diverso è El passadis del pep in Pla de Palau non lontano da Barceloneta ovvero quasi sul mare.

Il posto se non sai dove è non lo trovi. Infatti dall’esterno non è visibile. Ti devi infilare in uno stretto corridoio dietro a un portone e in fondo trovi questo luogo, come una caverna di Aladino.
Qui il pesce è di rigore ed è superbo. Anche qui in parte puoi lasciare fare a loro specie negli antipasti di mare. Cucina meno particolare e ricercata, ma gli ingredienti sono di prima qualità cucinati con cura e abilità. È molto frequentato anche da turisti, è rumoroso, allegro e non lesina sorprese per il palato.
Dopo la prima volta è diventata la nostra tappa obbligata di ogni soggiorno e anche qui il servizio molto casalingo e anche molto veloce è diventato con il tempo più personalizzato, quando ci hanno annoverato tra gli abituali.
Uscendo dal ristorante era facile fare due passi e magari arrivare al mare (zona piena di locali e ritrovi) oppure scattare qualche foto della piazza, dove dall’altra parte ha sede uno dei più antichi ristoranti di Barcellona (1836), “le 7 porte” famoso per la sua paella e per avere appesi alle pareti quadri di vari artisti tra cui Mirò e Picasso. È stato un luogo frequentato da celebrità come Ava Gardner, Plácido Domingo, Salvador Dalí, Woody Allen, García Lorca, Orson Welles e persino Che Guevara. Una volta va visto anche se non è uno dei miei posti favoriti.

Alla fine di questa lunga carrellata non esaustiva tra le anime di Barcellona (tanto altro ci sarebbe da dire) devo ammettere che è doveroso ricordare altre due visite, una al Tibidabo , una collina da cui si può ammirare e avere una visione d’insieme della città dall’alto , l’altra al Montjuïc.


Non si può liquidare in due parole questa collina (173 metri d’altezza) che si erge su un lato di Piazza di Spagna.
Si sale per le due scale laterali con al centro una fontana a cascata e sulla cima c’è la sede del Museo Nazionale d’Arte della Catalogna (MNAC). Ospitato in un palazzo creato per Esposizione Internazionale del 1929, ed ispirato al Rinascimento, ospita una delle collezioni più complete al mondo di arte romanica. Vi si trova anche una collezione di arte gotica, arte rinascimentale e barocca, arte moderna, il Gabinetto numismatico della Catalogna e Gabinetto di Disegni e Incisioni. Quando ci andai fui costretta a fare una scelta perché è impossibile vederlo tutto in una volta sola.
Mi dedicai dunque all’arte Romanica per cui è famoso e dove si trovano un’eccezionale serie di affreschi, unici al mondo e opere prodotte fra il X e il XII secolo, passai poi all’arte gotica con di nuovo affreschi e poi sculture in pietra o legno e pezzi di oreficeria.
A quel punto dovetti fermarmi perché la vastità delle collezioni, la concentrazione e attenzione che richiedono, mi avevano coinvolto per ore e non ero più in grado di fare attenzione ad altro per la stanchezza.
Ne uscii profondamente colpita, anzi direi senza fiato perché era stato un percorso fantastico in un edificio altrettanto affascinante.
Indugiai a guardare dall’alto Piazza di Spagna e i dintorni e poi tornai in albergo distrutta dalla stanchezza fisica ma con il morale e l’entusiasmo ai massimi livelli. È giunto il momento di dire “arrivederci Barcellona” speriamo di poterci lasciare alle spalle finalmente questo lungo periodo di isolamento e di tornare presto tra le tue vie, i tuoi edifici e in mezzo al popolo catalano.
Fabrizia Cataneo