Sicilia, isola bella

Che lavoro fai?

L’agente di viaggio,  dico sorridendo.

Ah, beata te, sempre in giro!

Ecco.

Mi chiedo perché ho sorriso. Sicuramente avrà frainteso il senso della mia risposta.

Fare l’agente di viaggio è da sempre il sogno di molti ma il dolce far niente è un pensiero associato a questo mestiere. Dal di fuori le persone immaginano i  banconisti spesso sdraiati su un’amaca fronte mare o in giro da un capo all’altro del mondo. I più originali credono che non sia neppure un vero e proprio lavoro.

Nella realtà le cose non stanno esattamente così. Si tratta sicuramente di un lavoro affascinante che aiuta a realizzare sia i propri sogni che quelli degli altri ma pur sempre di un lavoro, scocciature incluse.

Ad attenuare la nostra routine d’ufficio, c’era una volta una cosa chiamata “educational” ovvero la gita di istruzione per gli addetti ai lavori utile a conoscere posti nuovi e nuovi alberghi. Un aggiornamento necessario  per non farsi mai trovare impreparati.

Questo tipo di  trasferta includeva alberghi bellissimi,  conferenze interminabili, levatacce all’alba e cene conviviali-istituzionali fino a tarda notte. Nel resto della giornata c’era da camminare tanto e tanto da memorizzare anche se parlare di lavoro camminando sulla sabbia può essere considerato un privilegio.

Nei casi più fortunati, un minimo di relax era permesso, anzi già incluso nel pacchetto, magari al sole, magari su una bella spiaggia, magari in Sicilia.

Un comodo volo Linate – Catania accorcia le distanze tra me e l’incanto della Trinacria. Da lei mi aspetto un week end che mi stupisca. Un assaggio di questa Terra l’ho già avuto un paio di volte ma sento che questa, potrebbe essere davvero la svolta: si va al sud del sud.

La storia della Sicilia è complessa: è stata terra di dominazione da parte di Fenici, Greci, Romani, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini e Spagnoli.

In oltre tremila anni di storia,  ogni popolo ha lasciato i propri segni tangibili che permangono ancora nell’arte, nei costumi sociali, nelle tradizioni popolari e nel cibo. Difficile pensare di esaurire tutto il suo sapere in un unico viaggio.

La Sicilia è un tesoro per tutti i sensi.

In primis la vista, che viene appagata immediatamente specialmente in questa parte sud est dell’isola. 

La rigogliosa architettura tardo barocca  è stata saggiamente conservata o, nella peggiore delle ipotesi, sapientemente recuperata.  Un patrimonio opulento ma non sfacciato, talvolta risorto al suo più alto splendore a seguito di episodi sismici gravi, brutti scherzi di questa fertile Terra vulcanica.

L’ eleganza della nobiltà che ha abitato queste zone ha lasciato tracce molto evidenti in edifici intrisi di storia e di ombre.

Case importanti che trasmettono l’ essere più che l’ apparire.

Ma quanto sono affascinanti quei palazzi maliziosamente decadenti? Sulle loro grandi terrazze protette da balaustre scrostate al punto giusto, vivono piante grasse degne di questo nome. Dalle persiane di legno consunto dal vento, si infiltrano  potenti i raggi del sole mediterraneo, caldo e vivace mentre le zagare tutte intorno profumano l’aria.

Iniziamo il giro con la visita di Siracusa, o meglio di Ortigia che non è solo un centro storico unico nel suo genere ma è davvero una bella esperienza.

Ortigia è calcarea,  lucente,  un’isola nell’isola.

Che bello passeggiare sulle sue basole bianche fino al lungomare o seguirle come Pollicino fino alla caratteristica ragnatela urbana della parte centrale.

Stradine amiche, anche se viste per la prima volta, ma probabilmente già conosciute dalla mia anima. Tutto l’insieme mi ha ricordato una visita al sud fatta con i miei genitori quando avevo all’incirca dieci anni.

Le emozioni che nascono nel cuore dei bambini sono uniche e inspiegabili. La tenera età mescola il presente con la fantasia e il risultato è una ricetta magica che confeziona ricordi immaginifici che durano tutta una vita.

Nel centro di Ortigia molti i palazzi dall’aspetto vagamente fané con balconi stretti e ringhiere in ferro battuto carichi di piante che toccano il piano di sopra.  La centrale piazza del Duomo toglie il fiato così chiara, spaziosa, assolata, riconoscibile a prima vista in mezzo a mille altre.

Tanti gli edifici settecenteschi allineati e immobili, eleganti e solenni.  Ancora oggi guardano incuriositi i passanti che indugiano sotto le loro finestre passeggiando senza la fretta di andare oltre.   

Questo è solo un assaggio della struggente bellezza delle città siciliane. Una bellezza che stordisce, ubriaca.

L’uso del termine bellezza in Sicilia è infatti quasi riduttivo.

Ogni palazzo appartenuto a casate storiche ha visto l’avvicendarsi di grandi famiglie con tanti figli e tantissimi nipoti. Intere generazioni raccolte intorno a teatrali pranzi domenicali. L’atmosfera calda e  avvolgente che ha resistito forte e tenace al passare del tempo ha superato il concetto di bellezza trasformandola in una sorta di alchimia che  ammalia per sempre la sensibilità umana.

Ogni ambiente non è mai banale, il vento che sposta le tende in realtà le fa danzare, le sfarzose facciate datate e fiere, raccontano in ogni crepa un momento di vita vissuta. Più si guardano, più ti parlano di loro e del passato,  sussurrando all’orecchio segreti della famiglia e delle infinite saghe famigliari.

A testimonianza di ciò il magnifico film “La dea Fortuna” di Ozpetek girato in parte a Bagheria vicino a Palermo,  mostra una villa sublime  il cui carisma buca lo schermo e arriva dritta al cuore degli spettatori.

E dopo Ortigia, Noto.

Un giro veloce ma non troppo. Attenti a dove mettete i piedi!  Noto si visita con lo sguardo all’insù. 

Le piccole vie che incrociano la strada principale e la piazza sono una successione considerevole di balconi decorati, veri capolavori di arte barocca.

Ho fatto molte foto ai Mascheroni siciliani, opere scultoree di gran pregio in cui spiccano “sirene pettorute, grifoni alati, aquile, mostri e linguacce”. Insomma, un grottesco carnevale in terracotta che a colpi di scalpello è stato recuperato dopo il terribile terremoto del 1693. Lasciata la bellissima Cattedrale e il suo campanile ci trasferiamo verso la promessa sosta di relax.

La Riserva e oasi faunistica di Vendicari è un posto così pazzesco che non può non sorprendervi. In qualsiasi stagione, questo angolo di paradiso è sempre il posto giusto al momento giusto.

Si lascia qualsiasi mezzo a motore in un’area apposita e si prosegue silenziosamente a piedi attraversando una fitta macchia mediterranea tra eucalipti, agavi e canne. Fenicotteri, aironi e cicogne trovano qui il loro habitat naturale. Improvvisamente la passeggiata finisce e non ci si accorge neppure di essere arrivati su una spiaggia selvaggia e semi deserta. Si cammina sulla sabbia dorata ricoperta di alghe che formano un tappeto morbido su cui camminare scalzi. Una vecchia tonnara interrompe l’orizzonte muto mentre il mare cristallino lambisce delicatamente i miei piedi. Spettacolare tutto, il tatto e l’udito ringraziano.

I giorni passano veloci in questa terra ai confini del mare. Complici la cordialità  delle persone e  la piacevole compagnia del gruppo, vorrei poter fermare il tempo e rimanere qui. Invece non resta che un’altra visita, l’ultima: Ragusa.

Ignara di quello che realmente mi aspettava, prendo posto vicino al finestrino spiando curiosa un mondo che non conosco.

Ad un tratto, proprio dietro l’ennesima curva di questa strada nel verde,  Ragusa Ibla si presenta in tutto il suo splendore dalla collinetta su cui è dolcemente “appoggiata”.

“Bisogna essere intelligenti per venire a Ibla, ci vuole una certa qualità d’anima, il gusto per i tufi silenziosi e ardenti, i vicoli ciechi, le giravolte inutili, le persiane sigillate su uno sguardo nero che spia” ( Gesualdo Bufalino).

Meritatamente Patrimonio Unesco e capitale del barocco, Ragusa Ibla è il gioiello che non credevo esistesse. La piazza della chiesa di San Giorgio convince subito con la sua bellezza genuina.

Il labirinto di vicoli stretti, le case coi pomodori appesi fuori dalla porta a seccare e le trecce di aglio. Le tende fatte di piccoli pezzi di canne che col vento suonano. Tutto il centro storico che domina la collina sembra una favola raccontata dalla nonna. Ma quanti sono i campanili che oltrepassano i tetti di pietra? e i capitelli e le statue? Non so dove guardare.

La chiesa di Santa Maria delle Scale è invece a Ragusa Superiore. Mi siedo proprio su quelle sulle scale da dove si gode una vista impagabile. Il bello di Ragusa? Che si vede tutta Ibla in un unico colpo d’occhio.  In silenzio, ho ammirato questo pezzo di terra in fondo all’Italia, così lontana da casa mia ma così familiare.  Ho ringraziato di essere lì, ho respirato la storia e la cultura fondendomi, anche se per un attimo, in quel mondo  unico.

Appagata la vista, Il gusto è sicuramente il secondo senso che viene chiamato in causa. Nella piazza del Duomo di Ortigia al riparo del sole cocente  si può scegliere fra una granita di caffè o un ottimo cannolo siciliano che nasconde una ricotta buonissima.

La mandorla di Avola in Sicilia si esprime in tutte le sue sfaccettature regalando dolci che sanno di Medio Oriente interpretando la vera tradizione mediterranea. Inaspettatamente dolci ma non dolcissimi, i frutti di vero marzapane sono per lo più aromatici. Se la mandorla c’è, si sente.

Il cioccolato della tradizione modicana pare derivi dagli spagnoli ispirati a loro volta dagli Atzechi. Il suo aroma deciso ma carezzevole si percepisce già fuori dalle cioccolaterie e ne anticipa il gusto e la sua particolare dolcezza.

Per chi non lo avesse mai assaggiato non si aspetti il cioccolato svizzero pastoso e vellutato. Solido come il carattere degli isolani e sabbioso come le spiagge più selvagge, si impreziosisce di tutte quelle spezie esotiche cresciute in terre lontane.

Che dire poi del vino siciliano? I ricci di mare, il pesce spada e gli agrumi di Sicilia.

L’olfatto entra in scena in supporto al gusto. Chiudete gli occhi e pensate all’arancia candita della Conca d’Oro, fiore all’occhiello di questa Regione. Anche il più piccolo pezzo è arricchito dalla sapidità del mare e il suo profumo è forte come il sole di agosto.

Suadente e deciso il pistacchio di Bronte, quello color nocciola,  completerà ogni piatto della cucina regionale sia dolce che salata e rientrati a casa,  il suo profumo vi mancherà moltissimo. Sono grata al mio “lavoro non lavoro” che in tanti anni mi ha regalato ricordi meravigliosi, in questo caso ricordi siciliani, da raccontare a voi e da rivivere sempre con grande emozione