Fabrizio De André, rapito dai nativi e dalla cultura sarda

In Italia è Fabrizio De André che nel ‘78 pubblica l’album “Rimini” ed inserisce un brano che utilizza dei riferimenti alla storia dei Nativi. La metafora che viene usata nel testo, in realtà ambisce a descrivere la trasformazione che sta avvenendo nella società italiana, ma questa scelta letteraria di attingere alla cultura degli Indiani è il segnale che testimonia l’avvicinamento dell’autore alla storia dei nativi.

Il brano incluso in questo album è caratterizzato da atmosfere sessantottine in cui l’autore sembra collegare gli “indiani metropolitani” (movimento studentesco di quel periodo) con la condizione dei Nativi americani. La canzone si intitola:

“Coda di Lupo”

ed ebbe un notevole successo. Nel 1981 è un anno veramente speciale per Fabrizio De André, pubblica un album autobiografico, che porta il suo nome, dedicato sia alla comunità sarda che a quella dei Nativi Americani.

Il disco viene realizzato insieme Massimo Bubola e i due autori costruiscono un parallelismo tra due civiltà, affermando che entrambe sono vissute di sussistenza e non di produttività e che hanno entrambe un grande amore per la natura e per i bambini e soprattutto pochissimo interesse per il denaro, se non per quello strettamente necessario.

Questo album è un lavoro molto atteso dalla discografia musicale che vuole comprendere la condizione del cantautore dopo il rapimento subito da lui e Dori Ghezzi (la sua compagna nella vita privata) nel 1979 quando furono prelevati dalla fattoria di Tempio di Pausania, in Sardegna, nella notte tra il 28 e il 29 Agosto.

Furono poi liberati dopo 118 giorni di prigionia. L’album viene pubblicato senza un titolo e pertanto prende il nome dell’autore, ma presto riviste e fan ribattezzano il lavoro con il nome di: Album “Indiano”, a causa sia del contenuto, che del dipinto di Frederic Remington stampato in copertina (“The Outlier”, la Sentinella).

L’ispirazione di questo lavoro arrivò proprio durante i giorni di prigionia, quando Fabrizio, ascoltando le ragioni che avevano spinto i suoi rapitori a commettere quel crimine contro di lui e Dori Ghezzi, comprese che in realtà si trattava di umili esecutori – tra l’altro poi perdonati pubblicamente durante il processo – che avevano eseguito – ai loro occhi – un gesto eroico. Per Fabrizio non fu difficile equiparare i pastori della Sardegna al comportamento dei guerrieri Cheyenne che compivano gesti eroici andando a rubare cavalli alle tribù vicine.

Negli anni 70 la cinematografia e la letteratura sono sempre più incuriositi dal tema dei Nativi e Film come Soldato Blu di Ralph Nelson, Piccolo Grande Uomo di Arthur Penn insieme ad esperienze personali come il viaggio fatto con Dori Ghezzi nel 1977 in Canada, oltre alle letture di “Memorie di un indiano Cheyenne”, “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee”, “Alce Nero parla” contribuiscono alla formazione di Fabrizio.

Nell’album sono diverse le canzoni dedicate al tema dei Nativi, ma una su tutte: “Fiume Sand Creek” diventerà una sorta di bandiera o trattato che chiarisce il pensiero dell’autore e di come quest’ultimo si pone rispetto alla storia dei nativi. La canzone descrive il massacro del Sand Creek perpetrato dalle Giubbe Blu guidate dal colonnello John M. Chivington nell’accampamento indiano presso il fiume Sand Creek, il 29 Novembre del 1864 in cui persero la vita 28 uomini e 105, tra donne e bambini uccisi senza pietà ed assassinati nel sonno e soprattutto senza avere nessuna possibilità di difesa.

Marco Cisini