Dublino, grazie a Joyce

Lavoravo già in una agenzia di viaggi ma rimanevo una studentessa agli ultimi esami della facoltà di Lingue.

La scelta della città irlandese è stata una coincidenza davvero unica: una tariffa agenti di viaggio che avrebbe convinto chiunque a schiodarsi dal divano e un non facile esame di letteratura inglese studiato così tanto da considerare Leopold Bloom dell’Ulisse di Joyce un lontano parente.

Molti i pomeriggi passati a testa bassa sul libro con la mia compagna di corso, molte le emozioni che ci ha regalato l’Ulisse.  Dublino ci è sembrata la giusta ricompensa per un esame impegnativo passato brillantemente.

I miei genitori si offrono di accompagnarci a Linate e di vederci partire facendo ciao con la mano. Biglietti pronti, albergo bellissimo, si va.

Atterrati al verde aeroporto irlandese, basta un’occhiata per indovinare il colore nazionale. Le sedie dell’aeroporto sono verdi, il  bus verde che ci porterà in centro attraversa strade bordate di prato color verde evidenziatore.

L’impatto con l’ Irlanda è particolare, respiriamo l’aria celtica che ha un non so che di frizzante.  Il clima, per essere febbraio,  è più che accettabile anche per camminare. Dieci gradi, nubi e, sometimes, pioggerellina.

D’altronde non sono i Caraibi, il costume non lo abbiamo portato.

Dublino è una città relativamente piccola, senza metropolitana tradizionale, con una scarsa densità di popolazione  in numero quasi al pari delle pecore da lana.

Facciamo quattro passi  in centro: Grafton Street è una zona pedonale che diventa presto il nostro quartier generale visto che anche l’hotel è proprio lì. La musica dei buskers  nel tardo pomeriggio anima questa parte del centro. I marciapiedi diventano  palcoscenico di un  teatro a cielo aperto, sul selciato troviamo anche mimi e giocolieri. Bellissimi i narcisi gialli (daffodils) venduti a ogni angolo di strada che saranno per tutta la vacanza il nostro fiore preferito.

Leggiamo su una guida comprata prima di partire, che proprio in questa via esiste un locale storico nato nel 1840, un monumento dedicato al caffè Bewley’s Oriental Cafè.  Lo proviamo subito.

Le macchine usate per la torrefazione sono capolavori, il locale accogliente, perfetto per un pranzo veloce.  Bewley’s da quel giorno sarà la nostra mensa. Oggi credo abbia subìto un restyling, ma i tempi che vi racconto sono lontani.

Studiavo, parliamo della Preistoria.

La mattina successiva al nostro arrivo, visitiamo il Trinity College.  All’esterno un numero imprecisato di biciclette lascia immaginare la quantità di studenti a lezione. Al suo interno un mondo magico, meraviglioso ci fa rimanere a bocca aperta.

La Long Room è una delle biblioteche più scenografiche e importanti al mondo, difficile descriverla in due parole. I libri sono ovunque, gli scaffali talmente alti e pieni che sembra sorreggano l’edificio.

Facciamo la coda per ammirare “The book of Kells”, codice medievale   miniato contenente i quattro Vangeli in latino. Una vera gloria dell’arte celtica e una gioia per i nostri occhi di studentesse affamate di sapienza.

Visitiamo la Christ Church bellissima e vichinga, la St. Patrick Cathedral, davvero imponente con la navata più lunga d’Irlanda.

Qui vi è custodita la tomba di Jonathan Swift a cui rendiamo omaggio avendolo annoverato fra gli scrittori inglesi studiati per un altro esame sempre di letteratura inglese. E da lì un ripasso a voce alta con riferimenti letterari è doveroso e ci fa sentire perfettamente integrate e anche un po’ secchione.

Nei giorni a seguire, visitiamo meglio la città, sempre a piedi. I taxi non elargiscono volentieri passaggi brevi, anzi, visto che è tutto a misura d’uomo ci invitano a camminare.

Ci viene segnalato da dublinesi doc che nei pressi dell’ufficio postale principale esiste un mercato,  il mercato rionale più originale mai visto finora. Siamo in Moore Street dove vecchi passeggini da bebè sono pieni di mele e banane.

Macellai, venditori di lampadine di calze, cappelli, pomodori, tutti  imbonitori perfetti che attirano l’attenzione sulla propria merce con richiami a voce alta e cantilene musicali a sfinimento. Un meraviglioso spettacolo felliniano a cielo aperto.

Notiamo in effetti che il carattere degli irlandesi è molto lontano da quello inglese purosangue. Gli irlandesi sono così piacevolmente mediterranei, cordiali come i napoletani, empatici come i romagnoli.

Percorriamo a piedi il centro cittadino scoprendo che ‘Ha Penny Bridge, piccolo ponte di ghisa e legno, molto carino e ricamato è chiamato così perché nell’antichità il transito non era gratis. Proseguiamo per la sorvegliatissima O’Connel Street, meglio di giorno che di sera.

Quando il sole scende, il tasso alcolico sale.

L’architettura di Dublino è particolare, comunque siamo in una cittadina celtica, ci sono sì richiami gotici ma anche grandi rimandi all’architettura georgiana come Merrion Square caratterizzate da portoncini d’ingresso variopinti e case regolari nelle forme e nelle proporzioni abbellite da elementi decorativi classici derivati dall’Antica Roma o dalla Grecia.

Proprio in questa piazza cediamo ad un vero afternoon tea accompagnato dal dolce suono di un pianoforte all’hotel Shelbourn, Bellissimo 5 stelle super chic.

Palazzine in fila e insegne dei pub a colori vivaci compongono invece Temple Bar: il distretto della musica e degli studi di registrazione degli U2, che vagamente ricorda il più elegante cugino Covent Garden.

Pub e musica si fondono in una armonia meravigliosa dando vita ad una colonna sonora perfetta fra rock e musica tradizionale irlandese. Arpa celtica e batteria hanno fatto amicizia e negli anni convivono sotto lo stesso tetto senza problemi.

Per sentirci veramente irlandesi, facciamo compostamente la fila in una bakery,  compriamo il soda bread che ha un sapore tutto suo e decidiamo di pranzare all’aria aperta camminando fino al Phoenix Park,  qualche km a nord-ovest del centro città. Si tratta di un parco di circa 700 ettari, una grande oasi verde con all’interno persino una colonia di daini.

Stanche, ci sediamo a chiacchierare respirando la natura rigogliosa, i prati e i viali alberati. La pioggia frequente e il caldo moderato aiutano l’erba a crescere, fissando un colore vivace tutto l’anno.

Dopo mezza giornata passata al Parco, visitiamo la Guiness Brewery,  una tappa immancabile. Assaggiamo una birra che sembra petrolio – anche se pensavo peggio – ma comunque potabile solo qui.

La vacanza volge al termine, festeggiamo l’ultima sera a Dublino scegliendo un ristorante dove arriviamo finalmente in taxi.

Sotto una sottile pioggerellina inglese, percorriamo il vialetto del giardino fino alla porta di ingresso. Suoniamo, aspettiamo qualche minuto nell’umida penombra. Molta penombra, molto umido, molto affascinante.

Chapter One è il nome del ristorante.  E’ la casa inglese che tutti vorremmo avere, suddivisa in diverse stanze alcune con camino acceso, pieno zeppo di libri, tutto molto curato, illuminato da una discreta luce calda.

Nell’aria ad accoglierci, un profumo accennato di cibo buono, di burro nocciola e di legna bruciata. L’insieme ci regala sensazioni sublimi.

L’arredamento è tradizionale, le tende sono di velluto con passamanerie a rifinire gli orli pesanti che  appoggiano stanchi sul pavimento di legno, quel legno che fa rumore a ogni passo.

Un salto all’indietro nel tempo, in un’altra epoca. Sentiamo la romantica atmosfera anglosassone che ci avvolge come in un romanzo ottocentesco e ordiniamo un salmone con patate al forno e guarnizione di legumi da dieci e lode!

Il ristorante oggi ha cambiato veste, molto high tech, è pluristellato dalla guida Michelin ed è considerato il migliore di Dublino. Sarà sempre ottimo ma meno fascinoso.

Finita la cena, un altro taxi ci porta a concludere la serata in un pub fumosissimo dove resistiamo pochi minuti: The Stag’s head. Rimaniamo poco perchè non si respira e poi dobbiamo fare il valigino.

Piegando magliette e blue jeans, ripensiamo a cosa abbiamo visto e parliamo della sensazione che trasmette Dublino, così easy, particolare, molto caratteristica, proprio un altro mondo.

Ovviamente, anni dopo sono tornata anche qui, stesso hotel, stessi pub, stessa atmosfera d’antan, stessi sorrisi celtici.

Direi che anche questo bis è andato bene e il ricordo di questa piccola città verde, rimane nel mio cuore molto vivido e sempre piacevole.

La prossima volta, vorrei conquistare il vero verde, quello immenso della campagna irlandese.

Sono sicura che il colpo d’occhio dei castelli e delle greggi sparse qua e là mi farà innamorare completamente di questa terra piena di fascino e sarà un piacere rincontrare i suoi abitanti così genuini, musicali, sorridenti e sorprendentemente cordiali.

Viaggiatrice