La prima volta che vidi Parigi è stata la prima volta di tante cose: il primo volo aereo, il primo viaggio con tanti amici, la prima volta che mi allontanavo da casa il 25 dicembre. Col biglietto aereo in una mano e il Lexotan nell’altra, mi sentivo pronta per affrontare la paura di volare.
Volo Nizza Parigi strizzando la mano del mio fidanzato, prima volta in viaggio insieme, che per un’ora e mezza ha rischiato l’artrosi. Atterraggio perfetto, fidanzato vivo, che la vacanza abbia inizio. Ignara di quanto sarebbe accaduto al mio cuore, finalmente arrivo in centro città. Vengo immediatamente travolta dai suoni del traffico e da scintillanti alberi di Natale, tagliati nel senso della lunghezza e attaccati alle facciate delle case: tutte bianche, tutte vicine, tutte eleganti, tutte stupende.
E’ stata la prima volta di una cena alle due di notte, di un taxi al volo, di una passeggiata sotto la luna nell’immensa Place de la Concorde piroettando su me stessa per non perdere neanche un istante della Ville Lumière che di notte è magia. Buonanotte, è ora.
Bonjour! Si parte alla conquista della città più fotografata del mondo, della città che fa innamorare chiunque. Forse anche me? Ghiaccio sui marciapiedi, piedi doloranti dal freddo, entro ed esco dai grandi magazzini per cercare di scongelare almeno il naso. La tentazione di vedere tutto quello che posso è tanta, tre giorni troppo pochi. Me ne frego del ghiaccio e proseguo.
Parto dalle vie dello shopping, una gioia per gli occhi ma fra una vetrina e l’altra, vedo finalmente dal vivo le grandi opere architettoniche finora viste solo in foto. Faubourg St, Honoré, la Madeleine, Place Vendome, Boulevard des Capucines, L’Opera Garnier, Avenue Montaigne, Place de la Concorde, l’Ile Saint Louis, La Tour Eiffel, Le Grand Palais, Notre Dame, Rue de Rivoli. Finalmente, coi piedi a pezzi, sosta ristoro da Angelina: la cioccolata più buona mai assaggiata.
Proseguo dalla zona del Louvre, in direzione Hotel De Ville. Giunta a destinazione resto stupita: cinque minuti con la bocca spalancata per la maestosità e la grande bellezza dell’edificio. La giostra che adorna la piazza mi fa luccicare gli occhi, ritrovo per un attimo quella sensazione di felicità innocente e pura che hanno solo i bambini. Giro su me stessa e gli occhi si fermano su una via, a prima vista nulla di che, Rue des Archives. Incuriosita mi avvicino, intravvedo un bellissimo negozio di fiori e da lì mi inoltro cauta in un dedalo di stradine, scoprendo pian piano un mondo fantastico da cui non ne sono ancora uscita oggi.
Il mondo si chiama Le Marais, un raffinato e quantomai bizzarro quartiere del IV arrondissement. Fortunatamente scampato alla militarizzazione del Barone Haussmann, Le Marais conserva l’impronta dell’architettura pre-rivoluzionaria, quindi niente boulevards da parata ma solo un piccolo villaggio all’interno di una grande città.
La gente colta ci va per il museo Picasso, la Maison Européenne de la Photographie e la casa di Victor Hugo che sono sicuramente attrazioni importanti. I turisti casuali come me, lo apprezzano per l’originalità: qui è tutto nuovo e bellissimo, colorato e frizzante. Un quartiere boho-chic che si presenta ai miei occhi come un formicaio brulicante di etnie, religioni, cibo nuovo e forte odore di spezie.
Naso all’insù per non mancare neanche un dettaglio dei meravigliosi edifici. Alcuni oggi sono adibiti a musei ma anticamente erano vecchie case della Nobiltà con finestre scolpite sui tetti di ardesia che ricordano molto quella degli Aristogatti. Camminando senza meta, scopro botteghe d’antan con insegne boulangerie che invece vendono scarpe, accanto a cucinette di kebab dal profumo irresistibile e variopinti ristorantini kosher.
Abiti diversi, costumi diversi, un mondo affollato e affascinante che mi cattura, mi irretisce proprio come il richiamo di una sirena. Ad un certo punto mi arrivano le note confuse di una musica jazz, cammino, più svelta, inseguo le note. Mi sento come Pollicino che raccoglie i sassolini, arrivo velocemente alla meta. Completamente in estasi mi fermo dietro una prima fila di persone per ammirare e ascoltare gli artisti di strada. Sono i talentuosi buskers d’oltralpe che suonano davanti ad una platea di spettatori improvvisati. Sorrido, ascoltando deliziata e scatto un’immancabile foto. Compro senza esitazioni un cd che ogni tanto suono ancora e che custodisco a casa dopo quasi trent’anni, come fosse un Picasso.
Poi, finalmente arrivo nel cuore del Marais. Stupita e zitta ammiro cosa ho intorno e i miei occhi ringraziano ancora oggi per cotanta bellezza. Place des Vosges nata Place Royale, fatta costruire da Enrico IV di Francia. Incredibile… ma dove sono finiti i palazzi bianchi? Al loro posto, sui quattro lati lunghi oltre cento metri, si susseguono in un girotondo immaginario, trentasei caseggiati di mattoni rossi e candida pietra calcarea. Al centro un giardino stupendo con una fontana che somiglia molto alle illustrazioni da sussidiario delle mie elementari.
Aiuole che sembrano prati, attendono la folla del week end sdraiata al sole, che ne approfitta per dormicchiare un po’ (io l’ho fatto) o suonare la chitarra con un gruppo di amici. Tutto questo è semplicemente stupendo. Il senso di libertà è il mood assoluto di questa piazza che la domenica si affolla come uno stadio e trasforma le sue aiuole in tavole da pic nic nel pieno rispetto degli altri.
Al piano terra di ogni palazzina, un porticato forma una passeggiata coperta e offre sorprese. Ogni sera, intorno all’ora del tè, gli allievi della vicina scuola musicale si esercitano proprio sotto quel porticato, suonando le arie classiche più famose accompagnati da soprani che intonano acuti sempre più alti. La musica qui la fa da padrona, ah la musica!
La musica è il mio fil rouge nei viaggi, la colonna sonora indispensabile e diversa a seconda della città. A distanza di tempo, riascoltarla, mi riporta per qualche minuto nello stesso posto e la mia mente viaggia ancora. Dopo quella prima volta, dopo tutta questa girandola di novità, sono tornata a casa perdutamente innamorata di Parigi.
Ho pensato che fosse una cosa ovvia: era la prima grande città europea che visitavo. Invece, dopo quasi trent’anni, dopo averne viste molte altre, mi sono resa conto che è proprio lei la mia città. Parigi è la città che accoglie la mia anima. Quando sono là, non mi manca niente.
Sono tornata a Parigi molte volte, con persone diverse, mi è capitato di poter “scappare” anche due o tre volte nello stesso anno. La conosco intimamente, conosco le sensazioni che mi trasmette, come un amore che non ha bisogno di tante parole. Potrei quasi girarla bendata, la metro non ha più segreti il clima non m’importa più. Insomma, finora non ho ancora cambiato idea. Parigi resta il mio grande amore.
Non la vedo da un po’ e ora mi manca. Mi manca il suo profumo, le luci impazzite della Tour Eiffel, i macarons. Mi mancano quei palazzi bianchi, la musica del Marais e le passeggiate di notte sulle Quais della Senna. Spero proprio di poterla riabbracciare presto. Sono sicura che anche lei mi aspetta, lo so.
Cristina Briano