Un’altra Ragusa, Cava Santa Domenica

Oggi, vista la ridotta mobilità causa Covid, vi porto a fare una piccola gita a km 0, almeno per me. Sono di Ragusa – meglio conosciuta come la Vigata del commissario Montalbano – e ormai famosa in tanti scatti sul web e non solo. Fino a vent’anni fa la mia città non era così conosciuta, anzi era spesso confusa con la ben più nota Siracusa.

Dopo tutto è la provincia più piccola della Sicilia e spesso considerata dal resto dei corregionali come “Un’isola nell’isola”. Dal dialetto alle usanze gastronomiche, dalle sfumature socio-economiche alla -almeno apparente- “mansuetudine”, tanti sono i tratti di “diversità” del popolo ibleo dagli “altri” popoli siciliani.

Il fatto che sia spesso definita “un’isola nell’isola” (nel senso sopra accennato) sicuramente ha le proprie radici nella posizione geografica della provincia (la più a sud d’Italia) fuori dalle grandi direttrici OVEST-EST dell’isola e “senza neanche un metro d’autostrada” : Ragusa si raggiunge, non è di passaggio.

Oggi però non voglio raccontarvi la “solita” Ragusa Ibla , i suoi intrecci fra il paesaggio barocco e quello campestre con muretti a secco e masserie. Oggi voglio portarvi a “Cava Santa Domenica” un’area verde al centro della città, fra i suoi ponti.

È un’area ancora poco frequentata da noi ragusani, perché non era fruibile fino a qualche tempo fa e una vera e significativa riqualificazione, l’ha resa visitabile solo in questi ultimi giorni.

Eppure fino a circa sessant’anni fa Cava Santa Domenica era un discreto centro economico per la comunità.
Vi si svolgevano infatti due attività “primarie” molto importanti per l’economia di allora.

Da una parte la coltivazione di ortaggi, grazie alla presenza di acque torrentizie anche abbondanti soprattutto in autunno ed inverno. E dall’altra l’estrazione e lavorazione della pietra bianca calcarea da costruzione.

Immaginate un percorso fra piccoli terrazzamenti, corsi d’acqua e cascatelle e delle enormi grotte , le latomie all’interno delle quali sono ancora presenti alcune delle così dette carcare e cioè una sorta di forno usato ancora negli anni ’60 per ridurre la pietra in calce.

Il mestiere del carcararo era ritenuto tra i più umili in assoluto. Tant’è che  si dice parla “alla carcarara” di colui che parla in modo poco elegante un siciliano di estrazione molto umile. Il carcararo accatastava pezzi non molto grandi di roccia calcarea tenera sopra un cumulo di legna e carbone e dopo aver acceso le braci ad una determinata temperatura, per un certo periodo di tempo, otteneva la calce.

L’ambiente è davvero suggestivo. Nella cava troviamo un microclima stabile e umido abitato da una vegetazione che arriva fin dentro le grotte, o almeno fin dove arriva la luce solare. Tutt’intorno si trovano lussureggianti piante di noci, fichi, mandorli, ulivi e carrubi.

E il tutto esattamente al centro della nostra città, sotto quei ponti sui quali passiamo in macchina o a piedi tante volte al giorno, incuranti di quel mondo antico e diverso che racconta a suo modo la storia della nostra comunità.

Dopo una bella passeggiata attraverso questo parco, il percorso continua per i più temerari attraverso un saliscendi di scale e poi ancora attraverso un’altra valle fino a Ragusa Ibla, che -come accennavo -è la parte storica più conosciuta della città.

Le bellezze si susseguono in un dedalo di stradine piccole e tortuose fino al l’imponente Duomo di San Giorgio.
Gli scorci sono unici e non è solo lo splendido e dorato barocco a renderli tali ma un insieme di poetica “decadenza” che rincorre una via di riscatto che – devo dire – ha un suo perché.

Certo spesso questa cosa mi lascia un pò di amaro in bocca, perché vorrei che la città si facesse bella per i propri cittadini ancor prima e non solo per chi viene ad incontrarla per poche ore, in veste di turista.

Ma sulla consapevolezza di essere cittadini della bellezza divagherei troppo e allora mi fermo qui, invitandovi a venire a conoscere da vicino la mia Ragusa.

EVENTO LIBROSO IN CITTÀ

Daniela Cavallo

Travel planner & Blogger