Pioveva quella mattina di molti anni fa, la solita pioggia primaverile, un po’ fredda e leggera, ma io ero contento perché stavo aspettando un amico che mi avrebbe portato a Malpensa. Raggiungevo un gruppo in partenza per gli Stati Uniti : San Francisco, Las Vegas ed i parchi, New York. Entrare in un gruppo di sconosciuti non è mai facile, almeno per me… in genere sono il più vecchio e, mi dicono, do un impressione di altezzosità che, lo giuro, non mi appartiene. Individuai subito i miei compagni, tutti giovani naturalmente, due o tre ragazze un po’ spaurite, uno spilungone un po’ eccitato, un piacione in cerca di preda ecc. Mi presentai chiedendo del nostro accompagnatore e mi parve di vedere degli sguardi delusi dalla mia partecipazione. Ma forse mi sbaglio! La guida, un certo Marco apparve improvvisamente dal nulla, ci sgridò anche perché non ci trovava, ma ci sorrise benevolo e fummo tutti suoi prigionieri.
La prima tappa San Francisco: dire che è una bella città è banale e riduttivo; volendo descriverla in poche parole direi che è colore. Il suo cielo è molto blu, la baia è blu, i grattacieli del centro riflettono nei loro vetri tutto quel colore e le antiche case azzurre e bianche aggiungono uno smalto a questo panorama. Non ricordo come si svolsero quelle giornate, ma furono giornate entusiasmanti. Il gruppo, grazie a Marco si era ormai fuso rapidamente. Ridevamo come cretini per un nulla, ci divertivamo con lo spilungone ed il piacione e il nostro accompagnatore era, è, eccezionale.
Ricordo una cena a base di crostacei giù al Fisherman wharf, sulla baia ed il lungo rientro all’albergo in Union Square nella notte. Poi la gita a Sausalito oltre il Golden Gate bridge e la foresta del Muir Woods National Park con le sue millenarie sequoie. Attraversavamo la città in lungo e in largo sfruttando i caratteristici tram, giravamo per i quartieri: Chinatown con i suoi draghi e colori smaltati, poi Haight Ashbury e le sue meravigliose ville vittoriane e Castro nel suo stile spagnolesco.
Poi partimmo per Las Vegas. Una tappa forzata per raggiungere i Parchi con la macchina. Però Las Vegas merita un accenno, una descrizione. Ecco Las Vegas è luce, quella luce non naturale, fredda, volgare, chiassosa, ma che ti prende, ti affascina. Qui i monumenti sono gli Hotels, sfarzosi, eccessivi. Le halls sono i casinò con migliaia di slot machine che creano un frastuono assordante o forse è musica. A Las Vegas non ti rendi conto di dove sei, non comprendi se questo è giusto o se è solo un manicomio. Vedi ragazze bellissime che si aggirano feline, sinuose, affascinanti e poi vecchie signore, contadine dell’ Oklahoma forse, sedute imperterrite davanti una slot che macina ed inghiotte dollari senza nessuna pietà. Las Vegas è anche musica, teatro o meglio spettacolo. Puoi incontrare grandi divi in declino che qui sfruttano il loro talento che affascina ancora il piccolo borghese di provincia.
Partimmo anche da Las Vegas, come ho detto in macchina. Marco ed il piacione si alternavano alla guida. Un viaggio lungo, con soste in Motel molto caratteristici ed accoglienti che riflettevano anche la natura del paesaggio. Ricordo Bryce Canyon ed i suoi pinnacoli rossi incappucciati dalla neve. Il clima era irrigidito, il vento ti schiaffeggiava gelido ma tutta quella luce e quei colori ti rendevano insensibile ai disagi e cercavi di immagazzinare tanta bellezza nella mente, nel ricordo.
Attraversavamo minuscoli villaggi che riportavano all’epopea del West, degli sceriffi, delle bande di pistoleros, dei saloons, del grande cinema di Ford, di Gary Cooper, di John Wayne. E poi la Monument Valley un deserto infinito interrotto da monumenti di roccia rossastra come la sabbia che li circondava. Eravamo incantati da tanta bellezza e maestosità. Ci fu un episodio che rammento benissimo: ero appoggiato ad uno steccato e guardavo il paesaggio mentre gli amici scherzavano e fotografavano. All’orizzonte comparvero tre figure a cavallo che avvicinandosi a noi scoprimmo indiani. Erano giovanissimi, montavano a pelle, torso nudo, lo sguardo sprezzante, pieno d’odio forse, per quei turisti chiassosi che calpestavano la loro terra. Mi parvero come dei Principi o forse Dei.
E fummo al Gran Canyon e le parole di ammirazione, di commozione cominciano a scarseggiare. Non sei più nella Grande Madre Terra che conosci, qui il paesaggio cambia, gli orizzonti cambiano, sono infiniti. Sei stupito e cerchi di frenare un desiderio inarrestabile di pianto, una paura quasi di essere indegno, di non meritare tutto questo.
Ora ci aspettava New York, ma oggi questi ricordi mi hanno come svuotato e nella mente si accavallano sensazioni, odori, lampi di luce e di immagini che si confondono. Marco ci ha condotto quasi per mano in questo mondo nuovo. Lui è un grande professionista, una persona che conquista solo con una parola ed un sorriso. Lo sento raramente ormai ma è mio Amico.
A presto New York……..
Roberto Bertini