Nei lontani anni Novanta, faceva “status” spiaggiarsi in arcipelaghi esotici lontani anni luce da casa. Per chi invece preferiva rimanere coi piedi asciutti, molto in voga erano i tour organizzati verso luoghi affascinanti e misteriosi. Luoghi dove era praticamente impossibile girare senza una guida locale parlante italiano.
Non completamente appagata dai racconti dei miei clienti, pensai di toccare con mano tutto ciò che l’Egitto e la navigazione sul Nilo offre a turisti incuriositi o ai veri appassionati di storia. Doveva essere qualcosa di magnifico visto il grande successo di pubblico e critica.
Ovviamente vi racconterò le mie emozioni, per tutto il resto c’è l’egittologia che è una cosa seria.
Si parte in primavera dal solito Milano Malpensa. L’aereo, in questo caso è la nostra macchina del tempo. Sì, del tempo, perché atterra direttamente su un libro di storia delle scuole elementari aperto proprio al capitolo che parla dei Faraoni, quel mondo sognato da tutti i bambini che leggendo immaginavano cose fantastiche.
A differenza degli adulti, i bambini possiedono infatti un valore aggiunto: l’immaginazione. In età scolare giovani virgulti animati dal sacro fuoco, crescono nutrendosi della loro stessa fantasia, vivendo la vita reale come un mondo parallelo, necessario ma non per forza così attraente.
In Egitto fra piramidi altissime e geroglifici, Dei e strane barche sul Nilo si entra in una dimensione surreale che sembra la scenografia di un film, che mette soggezione. Viene quasi da chiedere il permesso per poter vivere un po’ del loro tempo.
Un tempo che ritorna, che non si è mai mosso. In uno dei miei racconti paragono Roma all’Egitto. In effetti, la sensazione di poter far parte del passato in un tempo presente mette confusione ma regala un’emozione forte e indelebile.
Il nostro tour (de force) comincia all’alba del giorno dopo l’arrivo da Luxor. Si cammina come maratoneti nella valle dei Re e delle Regine, si salgono molti gradini e, ancora assonnati, si strisciano i piedi sulla terra battuta incrociando sulla nostra via egiziani rilassati e abituati ai turisti. Completano il quadretto mattutino i cammelli che, fregandosene della folla, si lasciano fotografare in ogni posa senza fare un plissé.
Ascoltiamo i racconti della nostra guida locale mentre cerchiamo di scendere verso le tombe dei faraoni seguendo scrupolosamente le istruzioni dettate in un italiano perfetto ma essere agili e multitasking fra questi pertugi è davvero un’impresa.
Scopriamo il Tempio di Luxor che rappresenta una magnifica cattedrale nel deserto, un’opera talmente complessa e pazzesca che lascia senza parole.

Ma è la visita al Tempio di Karnak che punta dritto al mio cuore trafiggendolo con la sua bellezza, inaspettata e prepotente.
Sulle numerose colonne rimangono ancora oggi emozionanti tracce di geroglifici i cui colori non sono spariti nonostante il tempo e il sole cocente. Uno dei tanti misteri egiziani.
All’ingresso un’ infilata di arieti sfingi conduce al centro del complesso monumentale più efficace e interessante di tutta la giornata. Distrutti ma felici, rincasiamo con una gran voglia di acqua tiepida e bagnoschiuma.

L’albergo che ci ospita è una moderna nave da fiume che ci porterà a spasso sul Nilo provvedendo alla cena e a un comodo sonno ristoratore.
Non dimenticherò mail il primo risveglio a bordo, dal sapore vagamente fiabesco. Ancora sdraiata, gli occhi socchiusi guardano la grande finestra della cabina.
Avevo lasciato volutamente le tende tirate, i deboli raggi del sole accarezzano le lenzuola. Senza neppure spostare la testa dal cuscino, vedo fuori dei bambini con abiti lunghi che giocano sulle verdi sponde dell’epico Nilo fra cammelli e palme altissime.
Ho indugiato un po’ a letto per godermi quello spettacolo così perfetto, un vero coup de théatre.
Nei giorni a seguire i siti archeologici da visitare sono molti, ognuno ha caratteristiche simili ma diverse, tutto è estremamente interessante.
Il viaggio in nave si conclude ad Assuan, città coloniale meravigliosamente conservata, amore a prima vista.
Le sue Feluche silenziose e indisturbate navigano sul Nilo dell’Alto Egitto baciate dal sole mentre i raggi rifrangono sulle candide vele latine.
Qui stiamo bene, lasciamo che il tempo ci scorra addosso, ci godiamo senza fretta l’atmosfera elegante e languida di questa località che è rimasta a quegli anni Trenta sapientemente raccontati da Agatha Christie.
Visitiamo poi l’isola Elefantina e il Tempio di Philae. Paesaggi quasi esotici, palme in ogni dove, rocce addolcite dai venti e templi bellissimi, tutto condito dal fascino isolano che da sempre appassiona noi italiani.
Il pullman del transfer ci lascia in cima a una collinetta brulla e semi rocciosa. Indossiamo scarpe comode perché c’è da scendere una strada pietrosa. Pian pianino arriviamo in fondo ed ecco, davanti a noi Sua Maestà, l’imponente Tempio di Abu Simbel.

Ci aspettava fiero, zitto, stupendo, immenso.
Salivazione azzerata, occhi spalancati. Ricordo di essermi sentita piccolissima davanti alle statue sedute in facciata.
Abu Simbel è un sito storico patrimonio UNESCO che comprende due enormi templi scavati nella roccia nel villaggio di Abu Simbel, Governatorato di Assuan, Alto Egitto, vicino al confine con il Sudan. Fu costruito in onore del Faraone Ramses II.
L’incredulità è un sentimento che accompagna costantemente il viaggiatore in Egitto che pian pianino cede a tutta questa bellezza e smette di fare domande.
Il tempio fu primariamente costruito scavando la roccia. Solo successivamente questo capolavoro assoluto venne numerato e tagliato a blocchi (mi fa male al cuore anche solo scriverlo). Successivamente fu ricomposto, spostandolo per far spazio alla costruzione della grande Diga di Assuan che difende i siti archeologici dalle inondazioni del Nilo.
Entrando, lasciandosi alle spalle le statue pazzesche ai lati dell’ingresso, si passa da una stanza all’altra, senza finestre, senza luce se non quella che naturalmente può filtrare dalla lontana porta di ingresso.
Questi architetti geniali, questi scienziati di intelligenza superiore, costruirono il tempio facendo sì che esattamente nel giorno del compleanno del Faraone, un raggio di sole filtrasse dalla porta fino alla statua di Ramses II che si trova nella stanza più interna, illuminandola.
Non servono altre parole per far capire l’immenso che qui si può vedere e toccare con mano.
Caos, traffico, polvere, clacson, gente, smog, nebbia, fascino.

Zero idea di come si guida un’auto, coprisedili di pelliccia anche a 50 gradi, sandali con le calze.
Tè alla menta, museo, Stele, statue, grandi alberghi.
Stupore nel vedere le piramidi che sembrano creature extraterrestri, stupore nell’avere davanti a sé la Sfinge, quella vera, immobile, enigmatica.
Vale comunque la pena vedere Il Cairo perché le piramidi sono solo lì e il centro storico resta un ricordo interessante ma non dimenticate che è -una- grande- città- sovrappopolata.
L’Egitto è un mondo, non è Africa, non è Medio Oriente. È un melting pot di emozioni e sensazioni, di scoperte, di sapienza e colori.
Esiste davvero il limo, esistono le palme, i cammelli, il deserto, il caldo arido. Esiste il silenzio delle distese sabbiose, il tramonto che imbrunisce i templi, la fatica delle camminate sulle strade sterrate e le enormi ricompense alle tante alzatacce.
Esiste l’antico e il nuovo, la leggenda e la realtà che si sfiorano, si amano e si completano.
Esiste soprattutto l’emozione nel cuore, quella che resta e non se ne va più.
Esiste la voglia di scrivere un racconto per dire a tutti di aver visto per davvero cose di un altro mondo.